Quando conviene “brandizzare” prodotti e servizi

Battezzare i prodotti con nomi distintivi e loghi può aggiungere valore, ma comporta anche rischi significativi. Quando è utile optare per nomi propri e quando è meglio usare descrizioni generiche?

Raúl Belluccia, autore AutoreRaúl Belluccia Followers: 937
Quando conviene “brandizzare” prodotti e servizi
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Un dilemma classico di ogni manager di fronte alla creazione di un prodotto o servizio potrebbe riassumersi così: “Lo battezziamo con un nome proprio e un logo o lo identifichiamo con la sua descrizione generica?”

Supponiamo che un’azienda chiamata ‘La Sureña’ da anni produca, confezioni e venda dolci, conserve e pasta secca. Le sue confezioni hanno sempre avuto come identificatore principale il marchio La Sureña e i prodotti venivano descritti in modo generico: marmellata di arance, pomodori perini al naturale, tagliatelle verdi, ecc.

Un giorno l’azienda acquista il notissimo marchio ‘Tucusol’ di sugo pronto per la pasta. Per la prima volta si ritrova con un prodotto con un nome proprio e un logo di grande riconoscibilità e apprezzamento da parte del pubblico, e a quel punto il marchio La Sureña passa a piè di pagina sulla confezione di Tucusol, non come marchio principale ma come firma di garanzia.

A quel punto, sicuramente, salterà fuori un manager intraprendente che porrà la domanda esplosiva: “Non ci converrebbe dare un nome distintivo anche a ogni prodotto? Ad esempio, che la nostra marmellata di arance si chiami ‘Kity’, le tagliatelle ‘Doña Pepa’ e così via con tutti gli altri?”

Se questa azienda fosse una banca, sorgerebbe il dilemma se battezzare o meno con un nome e un logo i diversi crediti, tipi di conto e pacchetti di servizi. La domanda sull’opportunità di brandizzare o meno prodotti e servizi è cruciale. In linea di principio, tutto indicherebbe che il battesimo sia positivo, che non abbia controindicazioni. Ma non è così. È necessario procedere con cautela.

Il punto chiave sta nel sapere quando è utile battezzare e quando è meglio definire genericamente un prodotto o un servizio. Purtroppo, come spesso accade nella vita, questa scelta non è libera, non dipende dai gusti. Non è la stessa cosa prendere una strada o l’altra. Non è come scegliere tra un colore di camicia e un altro. In molti casi non c’è alcun dubbio. È chiaro che se Ford lancia un nuovo modello di automobile deve battezzarlo, ma non è altrettanto facile sapere se a La Sureña convenga avere la marmellata di arancia Kity.

A nessuno sfugge che lanciare un nuovo brand non è gratis; richiede un elevato investimento in comunicazione e risorse. E inoltre implica una dispersione di stimoli: prima tutto portava acqua al mulino de La Sureña e ora bisogna alimentare due brand (e nelle comunicazioni, dove mangiano in due non sempre mangiano in tre). La festa del battesimo potrebbe rivelarsi un fallimento.

Rischi della creazione di un nuovo brand

Un nome nuovo, per quanto valido, non risolve magicamente nulla. Ecco alcuni dei pericoli che si nascondono dietro una decisione sbagliata:

  • Che il pubblico non adotti mai il nuovo nome e continui a chiamarla “Marmellata La Sureña”.
  • Che il ruolo da protagonista della marca madre non venga mai occupato dalla “marca figlia” ed entrambe ne escano indebolite.
  • Che per alimentare il nuovo brand si debba investire in promozione e pubblicità più di quanto Kity meriti.
  • Che alla fine si decida di liquidare Kity e tornare alla situazione precedente, con la conseguente perdita di immagine, denaro ed energie.

Prima di dare un marchio e un logo a un prodotto, è opportuno tenere conto di alcune considerazioni per evitare problemi. Spesso la tentazione di brandizzare è irrefrenabile, ma le conseguenze di una cattiva strategia si pagano inevitabilmente.

Guida al battesimo di un brand

Vediamo quali sono le condizioni principali che un prodotto o un servizio deve soddisfare per meritare il battesimo di un brand e smettere di essere chiamato con il suo nome generico.

A una banca converrà o no che la sua “linea di credito per la casa” passi a chiamarsi ‘Procasa’? A un’azienda produttrice di birra converrà o no che la sua varietà “scura, dal sapore forte e intenso” passi a chiamarsi ‘Brava’? A un’azienda che commercializza legumi converrà o no che i suoi “ceci” passino a chiamarsi ‘Garby’?

Il dilemma non è di poco conto: si tratta del passaggio dal modello “marca aziendale + prodotto generico” alla gestione di due brand collegati: il brand di prodotto e l’endorser brand. E, come dicevamo prima, si corre il rischio di duplicare il problema invece di semplificare le cose.

L’esperienza indica che un prodotto o un servizio denominato con il suo nome generico potrebbe essere battezzato con un brand proprio quando soddisfa una o più delle seguenti condizioni:

  • Il prodotto o servizio in questione ha un valore aggiunto importante che lo trasforma in qualcosa di diverso e migliore rispetto al generico. (È la differenza tra “contenitore per alimenti” e ‘Tetra Brik’)
  • Il prodotto o servizio necessita di un grande flusso di pubblicità per imporsi sul mercato; vale a dire che ha molto discorso in “prima persona”. (Pensiamo ai problemi di una casa automobilistica nel fare pubblicità se i suoi modelli non avessero un nome proprio)
  • La descrizione generica è un impedimento alla commercializzazione, perché è confusa, troppo lunga o difficile da comprendere. (Pensiamo alle difficoltà del povero venditore di rubinetteria se le linee non avessero nomi specifici per identificarle)
  • La durata prevista del prodotto o servizio permetterà al pubblico di conoscere, memorizzare e utilizzare il nome. I modelli di breve durata non hanno quasi mai un brand proprio. (È ciò che accade di solito con la maggior parte degli elettrodomestici, che sono ‘Moulinex’, ‘Sony’, ‘Braun’; non sono conosciuti con un nome proprio).

Conclusione finale

Dotare un prodotto di un brand proprio è un’operazione seria, economicamente onerosa, di lungo respiro e che può trasformarsi in un fardello costoso per il marketing e le comunicazioni dell’azienda. Lo scopo di questo articolo è fornire alcune linee guida generali per affrontare l’argomento (non è un ricettario), sapendo che ogni caso ha le sue sfaccettature particolari di cui si dovrà tener conto.

L’operazione avrà successo se il pubblico adotterà il nome e chiamerà naturalmente il prodotto in quel modo. Ma se un padre, sapendo che il figlio va al supermercato, gli dice “non dimenticarti di comprarmi un barattolo di marmellata di arance La Sureña”, il povero brand Kity avrà fallito.


Questo articolo è stato originariamente scritto in spagnolo e adattato per l'italiano utilizzando l'IA per facilitare la divulgazione globale.

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