Qualche informazione in più sul logo aziendale

Precisazioni sulle funzioni universali di questo simbolo identificativo.

Norberto Chaves, autore AutoreNorberto Chaves Followers: 3934

Marina Cominetti, traduttore TraduzioneMarina Cominetti Followers: 5

Vincenza Branca, editor EditingVincenza Branca Followers: 1

Il logo aziendale (o istituzionale) è la versione grafica del nome dellʼentità. E le sue funzioni universali, cioè quelle comuni a tutti questi simboli, sono due e solo due:

  • Prima: consentire la chiara lettura del nome.
  • Seconda: connotare il carattere del suo proprietario.

Qualsiasi altro uso possibile del logo (narrare, descrivere, animare, indicare, ecc.) dipenderà dalle esigenze di ciascun caso in particolare; cioè, non sarà generalizzabile. (Vedi Le funzioni di un marchio di Luciano Cassisi).

Cosa si intende per «lettura chiara»? Resta inteso che il nome dovrebbe essere letto «in blocco», come immagine, e non «sillabandolo». Questo si ottiene attraverso un uso intelligente delle risorse grafiche della scrittura: famiglia tipografica, spazio tra le lettere, colore della tipografia, ecc. e, come è ovvio, per mezzo di un confronto di diverse versioni alternative fino a trovare quella più «chiaramente leggibile».

Ma la cosa non finisce qui: cosa significa «connotare il carattere»? Significa che la retorica grafica del logo deve essere compatibile e non contraddittoria con lo stile o il carattere dellʼentità: elegante, classico, informale, razionale, tecnico, neutro, trasgressore, popolare, raffinato...

Entrambe le funzioni non sono sempre pienamente compatibili, vale a dire che lʼesatto adempimento di una potrebbe impedire lʼesatto adempimento dellʼaltra. È , quindi, compito del mestiere del grafico raggiungere lʼequilibrio perfetto.

Il direttore di un museo di arte contemporanea può essere chiamato Pepe, ma è consigliabile che il suo biglietto da visita dica «José Fernández Díaz». Allo stesso modo, il logo del museo dovrebbe dire: «Museo di arte contemporanea», scritto con una tipografia di alta qualità, grande serietà e, sicuramente, contemporanea ma non «alla moda» e senza alcuna iconografia allusiva. Perché? Semplicemente perché i visitatori di quel museo capiscono cosa significa «arte contemporanea» e la sua descrizione sarebbe, in un certo senso, irrispettosa.

Un grafico deve imparare ad avere fiducia e rispetto per le parole. E solo «aiutarle» con risorse non verbali solo se è indispensabile. Normalmente, infatti, i nomi delle organizzazioni sono unici e soprattutto quelli che si trovano a competere nel mercato.
Per semplice requisito commerciale e legale, nessuno (tranne i truffatori) mette un nome uguale alla concorrenza. Pertanto, i nomi, di per sé, sono già abbastanza diversi senza la necessità di aiuti grafici. Prova di ciò è la moltitudine di loghi scritti in Helvetica, Frutiger o Times senza che i marchi si confondano a vicenda.

Le risorse non verbali, dʼaltra parte, saranno indispensabili per i marchi di quei prodotti di consumo compulsivo, come detergenti o film horror, in cui la narratività è indispensabile. I loghi dei primi dovrebbero lampeggiare e quelli dei secondi potrebbero «grondare sangue».

Partendo dal giusto disegno del logo si vedrà, quindi, se è sufficiente o se sarà necessario aggiungere un elemento grafico che lo rafforzi (sfondo, accessorio grafico o simbolo complementare). Ad esempio, un museo di arte contemporanea può utilizzare una contrazione come «MARCO» (a Monterrey ce nʼè uno) con il nome sviluppato sotto o di fianco. O, addirittura, rinforzalo con un simbolo astratto che consenta di siglare altri messaggi o di indicare il museo a distanza (il museo di Monterrey usa un quadrilatero come simbolo).

Aggiungendo a quel marchio, ad esempio, una tavolozza da pittore o un pennello (sono state viste anche cose peggiori) sarebbe stata una vera bambinata, un declino della gerarchia culturale di quellʼistituzione.

Ma quel pennello potrebbe ben illustrare, invece, lʼaula di pittura di un asilo nido. Ci riferiamo a questo quando parliamo di «carattere».

Queste aggiunte dovrebbero essere prese in considerazione solo dopo aver risolto correttamente il logo che, va ricordato, è lʼunico simbolo inevitabile. Possono prescindere da lui, solo quelle (scarse) organizzazioni che, con il tempo, la perseveranza e grazie al posizionamento del loro simbolo, sono riuscite ad ancorarlo al loro nome per trasformarlo in sinonimi (Apple o Shell, Lacoste o Mercedes-Benz).

In sintesi, il disegno di un logo aziendale (o istituzionale) non dovrebbe iniziare dal preconcetto della decorazione o della manipolazione della sua forma, ma dalla sua espressione elementare e pertinente, e quindi arricchirlo a seconda delle necessità. E, la cosa fondamentale: sapere come fermarsi in tempo.

Per scoprire quale stile grafico è il più congruente con il carattere di unʼentità, e quale no, è una questione di sensibilità: non ci sono formule.

Per questo è necessario un professionista in grado di rilevare le connotazioni di ciascun carattere tipografico. In altre parole, un graphic designer professionista, perché questa è una capacità specifica del suo lavoro.

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Selezione di esempi grafici: Juan Carlos Naranjo.

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