Cosa fare con l'ego di un designer
A seconda di come canalizziamo il nostro ego, questo può essere un vantaggio o uno svantaggio per lo sviluppo del nostro business.
AutoreFernando Del Vecchio Followers: 818
TraduzioneMadeleyn Mendoza Followers: 17
EditingMarina Cominetti Followers: 5
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Il tema dell' “ego del designer” è molto ricorrente nella professione. La cosa divertente è che, ogni volta che parliamo di ego, intendiamo lʼego di un altro designer, non il proprio. Cosa succede se prestiamo attenzione al modo in cui funziona il nostro ego, a favore o contro il nostro business? Il cosiddetto “ego del designer” è un vantaggio o uno svantaggio? Diamo unʼocchiata a due casi che conosco di prima mano su questo problema:
Primo caso
Un designer di successo pluripremiato afferma: «Il mio ego è stato un grande vantaggio per poter imporre le mie idee su quelle presentate dai clienti. Erano idee così povere che in nessun caso avrei continuato il progetto se avessi dovuto lavorare con loro».
Secondo caso
Il direttore di uno studio creativo, parlando di uno dei suoi soci, afferma: «È un irresponsabile; il suo ego è stato la causa della perdita dellʼaccount. Se non avesse detto al cliente quel che pensava nel modo in cui ci ha abituato, continueremmo sicuramente a lavorare con lui. Ma ovviamente, lui è un designer così bravo che ora dovremmo chiedergli come pagare lʼaffitto».
In entrambi i casi, e sebbene il primo possa non sembrare così, abbiamo difficoltà economiche. Nel secondo, a causa dellʼatteggiamento del creativo che, quasi come se lo facesse di proposito, boicotta qualsiasi progetto che non soddisfa il suo bisogno creativo. Nel primo caso è la reputazione che inizia a giocare negativamente.
Non tutti comprendono lʼego del designer allo stesso modo, ma se ho capito più o meno bene ciò che i designer stessi esprimono a questo proposito, sarebbe un atteggiamento che denoterebbe una posizione di superiorità, autosufficienza e orgoglio dellʼaltro (mai il proprio), rispetto ai loro colleghi, ai loro clienti e al mondo in generale.
Credo che lʼego stesso, così espresso, non sia né buono né cattivo. Dovremmo contestualizzarlo per capire quale portata e conseguenze potrebbe avere nel nostro caso particolare, non per gli altri; perché possiamo lavorare solo su di noi e non su terzi. Un martello è buono o cattivo? Dipende, perché è uno strumento che può essere usato sia per costruire che per distruggere. Lo stesso vale per lʼego.
Le rappresentazioni dell' “ego del designer” descrivono una persona molto sicura di sé, con un atteggiamento superbo, che esprime un certo disprezzo per lʼaltro, che impone idee in modo aggressivo, che mette a tacere lʼaltro attraverso la beffa, ecc. Tuttavia, lʼego è presente anche nelle persone che, avendo fiducia e autostima, manifestano un comportamento diverso: aperto al dialogo, che condividono conoscenze ed esperienze, sinceramente interessati allʼopinione dellʼaltro ed alla costruzione con il contributo di tutti i soggetti coinvolti. Sembra che lʼego, in questi casi, sia positivo.
Ciò che ci infastidisce in realtà non è lʼego dellʼaltro, ma il modo in cui lo manifesta. Ci dà fastidio quando lʼegolatra ci maltratta; non ci secca che il nostro cliente prenda una decisione che non prenderemmo; ci disturba il fatto che non prendano nemmeno in considerazione la nostra opinione, che non la valorizzino o che la disprezzino.
Che cosa è successo ai due casi citati allʼinizio?
Nel primo caso, il designer ha capito la differenza tra la sua sicurezza e autorità professionale e la necessità di imporre la sua volontà sopra ogni cosa. Lʼego non è scomparso (mostrato come il comportamento di chi è un’autorità in materia); ciò che è svanito è la necessità di imporre una volontà. Il rapporto con i clienti è migliorato e i ricavi sono aumentati.
Nel secondo caso, è stato efficace chiedere al designer di “smettere di comportarsi come un adolescente capriccioso di quindici anni”, per creare un ambiente di lavoro con i clienti che favorissero lo sviluppo del business dello studio. Che cosa è successo? Lʼego non è scomparso; il designer ha accettato il ruolo in cui poteva contribuire maggiormente, che non era negli incontri con i clienti. Nel corso del tempo, ha lasciato lo studio e i suoi soci hanno assunto un altro designer (non più come partner ma come dipendente), forse meno talentoso del primo, ma molto più disposto a fare il suo lavoro (servizio, non arte).
In breve, lʼego in sé non è un problema, e in una certa misura lo abbiamo tutti. Il vero problema è sapere cosa fare del nostro ego, in modo che non interferisca nellʼottenere i risultati che cerchiamo.
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